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Un anno di guerra: per l’economia russa primi segnali di difficoltà

Sinora un insieme di fattori ha garantito all'economia russa una discreta resilienza rispetto alle sanzioni occidentali. Con il passare del tempo l'effetto della guerra però inizia a farsi sentire

di Marcello Minenna

(MasterSergeant - stock.adobe.com)

6' di lettura

A un anno dall'invasione dell'Ucraina, gli effetti del conflitto cominciano a pesare sull'economia russa. Dopo il rimbalzo post-Covid intervenuto nel 2021 e proseguito fino al primo trimestre 2022, il PIL ha cominciato ad arretrare nel secondo e terzo trimestre dello scorso anno (rispettivamente -4,1% e -3,7%). Per l'intero 2022 Rosstat (l'Istituto di Statistica russo) qualche giorno fa ha rilasciato una stima preliminare del -2,1%, vicina a quella del Fondo Monetario Internazionale (-2,2%) mentre l'OCSE si attende una contrazione del 3,9% ed una più severa (del 5,6%) per il 2023.

RUSSIA: VARIAZIONE % DEL PIL REALE RISPETTO ALLO STESSO TRIMESTRE DELL’ANNO PRECEDENTE

Considerate le numerose variabili in gioco (e l'affidabilità relativa dei dati rilasciati da un paese in guerra) è arduo capire chi si avvicinerà di più ai dati ex post. Sicuramente sinora un insieme di fattori ha garantito all'economia russa una discreta resilienza rispetto alle sanzioni occidentali: il forte apprezzamento delle commodities energetiche verificatosi nei primi otto mesi dello scorso anno, il re-indirizzamento dell'export verso “paesi amici” e la mano ferma della banca centrale rispetto alle fughe di capitali.

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Col passare del tempo l'effetto della guerra però inizia a farsi sentire. A dicembre 2022 le vendite al dettaglio sono scese del 10,5% inanellando nove mesi consecutivi a segno meno. Anche l'output industriale è in sofferenza con alcuni comparti in caduta libera, come la produzione di veicoli a motore che a gennaio 2023 è crollata del 77,6% su base annua. Sempre a gennaio il PMI manifatturiero (un indice che misura lo stato di salute della manifattura) è rimasto sopra la soglia critica di 50 (valori inferiori indicano contrazione), ma confermando il trend al ribasso del mese precedente.

Tensioni sui conti pubblici e sulle partite correnti

I segnali di difficoltà emergono anche dai dati sui conti pubblici e su quelli con l'estero. Negli ultimi tempi il saldo del bilancio pubblico russo ha sperimentato un notevole deterioramento. Il dato di gennaio 2023 evidenzia un deficit di 24 miliardi di $: per avere un termine di paragone, si consideri che lo stesso mese del 2022 si era chiuso con un surplus di circa 3,5 miliardi di $ al cambio corrente. Il Ministro delle Finanze ha associato il dato a circostanze particolari (allocazione straordinaria di fondi per appalti pubblici) e tecnicalità contabili (modifiche nelle modalità di prelievo fiscale). Tuttavia, anche trascurando il dato del mese scorso, le cifre del 2022 sono inesorabili. Per l'intero anno il disavanzo pubblico è stato pari a 45 miliardi di $ (il 2,3% del PIL), il secondo valore peggiore dell'ultimo decennio dopo quello del 2020, l'anno della pandemia.

A pesare sono stati il progressivo assottigliamento delle entrate fiscali legate a gas e petrolio – in media il 40% degli introiti erariali – e l'aumento della spesa pubblica cresciuta del 75% rispetto al 2021 (cfr. Figura 2). Con tutta probabilità il grosso di questo aumento è riconducibile alla difesa, vale a dire alle risorse destinate a finanziare la guerra con l'Ucraina, anche se non si dispone dei numeri esatti perché, per il 2022, il Ministero delle Finanze ha deciso di non fare disclosure sul valore delle diverse voci di spesa.

RUSSIA: ANDAMENTO DEL BILANCIO PUBBLICO DAL 2012 AL 2022

Gli introiti fiscali da gas e petrolio hanno raggiunto un picco nel mese di aprile dell'anno scorso superando i 1800 miliardi di rubli (circa 75 miliardi di $) – galvanizzati dal rally dei prezzi delle materie prime energetiche – per poi, di fatto, virare al ribasso nei mesi successivi. In media, nel 2022, il loro apporto all'erario è stato di 965 miliardi di rubli su base mensile, mentre nell'anno in corso potrebbe rivelarsi parecchio inferiore se la brusca frenata registrata a gennaio (appena 426 miliardi di rubli) dovesse prolungarsi.Anche il saldo delle partite correnti evidenzia profili di criticità. Dopo quattro trimestri di crescita consecutiva, il terzo trimestre 2022 ha visto una grossa correzione al ribasso con un surplus pari a 48 miliardi di $, contro i 78 del trimestre precedente (cfr. Figura 3).

RUSSIA: ANDAMENTO DELLE PARTITE CORRENTI

L'emancipazione UE dagli idrocarburi russi

Il driver principale delle dinamiche osservate di recente è l'impatto negativo del conflitto e delle sanzioni occidentali, specie quelle commerciali. Oltre alle sanzioni sull'import di beni finiti, negli ultimi tempi sono le restrizioni all'export russo di commodities energetiche verso i paesi occidentali – in primo luogo, verso l'Unione Europea – ad alimentare l'onda d'urto contro l'economia russa.

A ridosso dell'invasione dell'Ucraina, Mosca ha potuto contare sull'effetto-sorpresa per continuare a vendere massicci quantitativi di petrolio e gas naturale ai partner europei a prezzi record. Col passare dei mesi, però, il quadro si è modificato a suo sfavore perché l'Europa è riuscita a ricalibrare drasticamente il proprio approvvigionamento energetico da paesi extra-UE riducendo nettamente la dipendenza dagli idrocarburi russi.

Utilizzando i dati Eurostat, è possibile misurare l'entità di questo fenomeno. In termini di volumi importati, nel giro di pochi mesi (da febbraio a novembre 2022), l'Unione Europea è ridotto dal 30% al 13% il peso della Russia sulle proprie importazioni mensili di combustibili fossili da paesi extra-UE (cfr. Figura 4), peraltro mantenendo relativamente stabili i quantitativi complessivi importati.

UE 27: VOLUMI DELLE IMPORTAZIONI DI COMBUSTIBILI FOSSILI DALLA RUSSIA E DAGLI ALTRI PAESI EXTRA-UE

Il calo dei volumi, specie nella seconda parte del 2022, ha finito per ripercuotersi anche sul controvalore monetario delle importazioni, riuscendo a controbilanciare la tendenza opposta derivante dall'aumento dei prezzi che peraltro, nel frattempo, hanno cominciato a calare. Conseguentemente, anche in termini monetari, il peso della Russia sull'import totale dell'Unione Europea di queste materie prime da paesi extra-UE è calato dal 27,8% di febbraio 2022 al 13,6% dello scorso novembre (cfr. Figura 5).

UE 27: CONTROVALORE DELLE IMPORTAZIONI DI COMBUSTIBILI FOSSILI DALLA RUSSIA E DAGLI ALTRI PAESI EXTRA-U

Lo sforzo messo in campo dall'UE per emanciparsi dalla Russia è stato chiaramente enorme ed è il risultato di una serie contromisure adottate dai paesi membri, spesso congiuntamente e con l'aiuto dei loro alleati. In relazione alle importazioni di gas naturale, queste contromisure sono state rese necessarie, come noto, dal ricatto di Mosca concretizzatosi dapprima in contingentamenti e, quindi, in sospensioni e interruzioni delle forniture via metanodotto. Prima dell'avvio della stagione fredda i paesi UE hanno provveduto, ancorché a costi molto elevati, a riempire gli stoccaggi ricalibrando in parallelo il mix dei loro fornitori in termini di paese di origine della materia prima (un ruolo-chiave ha avuto, ad esempio, il GNL statunitense).

Il calo dei prezzi delle commodities energetiche

Complice il clima particolarmente mite dei mesi invernali questa strategia di saturazione delle scorte si è rivelata vincente e ha consentito un rapido rientro dei prezzi. Sul TTF di Amsterdam, il principale mercato Europeo per il gas naturale via metanodotto, la quotazione del futures a 1 mese – che a fine agosto 2022 aveva toccato i 338 €/MWh – adesso gira intorno ai 50 €/MWh pari a un calo di oltre l'85% in meno di sei mesi. Per quanto riguarda il petrolio (che rappresenta la prima voce dell'import UE di materie prime energetiche dalla Russia), un aiuto importante all'Europa è arrivato dagli USA che sono intervenuti a gamba tesa sul mercato del greggio rilasciando quantitativi straordinari dalle loro riserve strategiche. Dallo scorso giugno questa mossa ha favorito una discesa delle quotazioni e, intanto, sono state finalizzate importanti sanzioni contro il petrolio russo (c.d. Ural oil): l'introduzione di un tetto (cap) di 60 $/bbl al prezzo decisa a settembre 2022 dai paesi del G7 insieme a UE e Australia e l'embargo UE sulle importazioni via mare, operativo dallo scorso dicembre sul greggio e, da questo mese, anche sui prodotti petroliferi.

Per effetto di queste sanzioni, il petrolio russo ormai da diversi mesi è quotato a sconto rispetto al Brent, attualmente circa 30 $ in meno a barile. Secondo alcuni analisti lo spread Brent-Ural potrebbe essere sopravvalutato, coi funzionari russi che dichiarano per l'Ural prezzi inferiori a quelli effettivamente praticati ai loro clienti per aggirare il cap dei 60 $/bbl. In ogni caso, anche ipotizzando uno spread più ristretto, il deprezzamento dell'Ural oil ha un impatto negativo sulle entrate commerciali e sui conti pubblici tanto che quest'anno la Russia potrebbe dover emettere molto più debito e attingere al tesoretto del suo fondo sovrano, il National Wealth Fund. Del resto lo sta già facendo e, infatti, dall'inizio della guerra questo “tesoretto” si è ridotto di circa 26 miliardi di $ (-17%).

Gli “amici” di Mosca

Allo stato, una preziosa risorsa per l'economia russa è la netta intensificazione degli scambi commerciali con paesi amici: diverse ex-Repubbliche sovietiche ma anche Turchia e Cina. Nel 2022 il saldo della bilancia commerciale russa verso la Turchia è stato di circa 50 miliardi di $ in netto miglioramento rispetto ai 23 miliardi di $ dell'anno precedente. L'export verso la Turchia ha registrato un incremento del 103% su base annua, ma anche le importazioni sono aumentate significativamente (+60%). La posizione “trasversale” rispetto al conflitto assunta dal governo di Ankara sta dunque dando i suoi frutti a entrambi i paesi.

Sempre lo scorso anno poi, il commercio bilaterale sino-russo ha raggiunto i 190 miliardi di $, in crescita del 34,3% rispetto al 2021. Lo scambio è semplice: la Russia assicura alla Cina abbondanti forniture di commodities (energetiche e non) a basso costo e in cambio la Cina colonizza il mercato russo con la propria manifattura sostituendosi all'export dei paesi occidentali colpito dalle sanzioni.

A guadagnarci di più sul piano economico-finanziario è senza dubbio la Cina, per la quale l'interscambio con la Federazione Russa rappresenta solo il 3% del proprio commercio con l'estero. Ciò consente a Pechino di dettare le regole, inclusi – in certa misura – i prezzi. La schiera di coloro che si chiedono se per l'economia russa la vera eredità della guerra con l'Ucraina sarà quella di diventare un satellite del colosso cinese si va rapidamente ingrossando.

Marcello Minenna, Economista
@MarcelloMinenna

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