Intervista

Tiraboschi (Brembo): «Serve una politica industriale, Italia non è solo meta turistica»

di Nicola Saldutti

Tiraboschi (Brembo): «Serve una politica industriale, Italia non è solo meta turistica» Matteo Tiraboschi (ad di Brembo)

«L’industria per un Paese come l’Italia è strategica. È un fertilizzante dei territori, le Università crescono dove c’è l’industria, che fa crescere, migliorare la qualità della vita. Sbocciare nuove idee. Non possiamo pensare di vivere di solo turismo. Un Paese senza industria è destinato a sparire…».

Matteo Tiraboschi, presidente esecutivo di Brembo è appena uscito dal consiglio di amministrazione sui conti del 2022. «Abbiamo chiuso l’anno, devo dirlo, con risultati che non immaginavamo dodici mesi fa, la guerra l’aumento dei tassi, la pandemia. Direi che stiamo raccogliendo il frutto del nostro lavoro. E anche il 2023 è partito bene, sarà un anno ancora in crescita». Il 2022 di Brembo ha registrato un utile netto di quasi 300 milioni e superato i 3 miliardi e 600 milioni di fatturato annunciando un dividendo di 0,28 euro per azione. Risultati raggiunti in un settore, quello della meccanica, dove l’Italia è capace di leadership.

Ma come si fa a crescere a questi ritmi?

«Investire. Investire. Investire. Anche quando il periodo non sembra favorevole. Per noi è una specie di condanna, un po’ di coraggio e follia. Ma per sostenere la crescita servono investimenti importanti in Ricerca e sviluppo, innovazione. Per arrivare sul mercato con prodotti ed idee nuove. In questi anni la nostra quota di mercato è cresciuta non perché siamo leader di costo, ma di contenuto di innovazione. In un anno complicato abbiamo raddoppiato lo stabilimento in Messico, a 70 mila metri quadrati. Stiamo raddoppiando in Cina per la divisione sistemi. Cresciamo anche in India per le moto»

E in Italia?

«Resta il nostro centro vitale. Il cuore del nostro gruppo. Abbiamo sempre investito e continueremo a investire. Si ricorda il 2008?»

Il crac Lehman?

«Appunto, il mondo sembrava essersi fermato. Noi con la scelta di investire fummo pronti a ripartire. E dagli 825 milioni di fatturato del 2009, ora abbiamo superato i 3,6 miliardi. Le nuove tecnologie ci permettono di essere diversi e di stare un passo avanti. Negli ultimi dieci anni il mercato mondiale dell’auto è rimasto a circa 79 milioni di veicoli. Noi abbiamo raddoppiato il nostro fatturato, in un mercato che è rimasto identico».

Eppure un settore come l’auto sta attraversando un periodo complicato, il 2035 è molto più vicino di quello che sembri.

«Sembra che tutti i mali del pianeta dipendano dall’auto, non è così. Certo, dall’auto elettrica non si torna indietro ma l’innovazione non si può imporre per legge. I nostri clienti stanno investendo centinaia di miliardi ma bisogna esplorare tutte le tecnologie che portano ad una riduzione dell’impatto ambientale. Il progresso è sempre venuto dalla competizione tra le tecnologie, non per legge».

Freni, intelligenza artificiale, sensori, analisi dei dati. Siete sempre più una fintech?

«Diciamo che l’innovazione è nel nostro dna e che forse tra qualche anno i sistemi frenanti saranno una cosa molto diversa da quello che sono oggi. Ma per fare questo, per competere non si può essere realtà molto piccole, servono grandi player. Come Paese avremmo bisogno di una politica industriale che indichi una traccia, un percorso, delle priorità. Altrimenti rischiamo di perdere imprese e competenze. Le imprese vanno sostenute, non lasciate a loro stesse. Altrimenti rischiano di svuotarsi o di essere vendute, questo accade in un Paese che non è ospitale per l’industria>

Cosa bisognerebbe fare?

«Creare campioni non nazionali, ma di livello mondiale. Si può fare. L’importante è avere un indirizzo di politica industriale chiara, senza confusione. Un po’ di chiarezza aiuterebbe anche i giovani a orientare le loro scelte di formazione, e trovare la loro strada con passione e ottimismo. Servirebbero strategia di supporto e rafforzamento per non disperdere le competenze che ci sono sui territori».

Per la verità la politica industriale manca dai tempi dell’Iri…

«E’ vero, è sempre mancata. Ma ora è sempre più urgente, ci confrontiamo con player di tutto il mondo. E non possiamo diventare solo una meta turistica. Meravigliosa, vero. Ma troppo poco per un Paese pieno di iniziativa imprenditoriale come il nostro»

Quanti dipendenti conta Brembo?

«Siamo 15 mila in giro per il mondo. In Ricerca e Sviluppo spendiamo il 6-7% e non abbiamo mai smesso. Ma per farlo bisogna avere la taglia, altrimenti si fa fatica. Con Brembo Venture vogliamo capire le tecnologie del futuro, con Brembo Inspiration lab nella Silicon Valley, dove esploriamo la frontiera tech, mondi diversi che non c’entrano nulla con noi, con l’auto. Ma dai quali intravediamo nuove possibilità che vanno oltre lo strumento freno che oggi conosciamo. L’analisi e l’uso dei dati, il loro affinamento per migliorare l’esperienza di guida ma non solo»

A proposito di partner, il patto sul 20% di Pirelli con Camfin?

«Brembo e Pirelli si conoscono da tanto tempo, lo definirei un allineamento. Poi si vedrà».

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