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Febbre da Bitcoin, non è oro digitale quello che luccica

di Donato Masciandaro

(fox17 - stock.adobe.com)

3' di lettura

Ci risiamo: è tornata la febbre del Bitcoin. Taluni, come innovazione, lo hanno paragonato all’avvento di Internet. Da altri è stato è stato addirittura battezzato l’oro digitale, visto che, dal giorno in cui è stato creato, il suo valore, in termini di dollari, è aumentato di oltre ottomila volte. E se fosse invece il solito tulipano, da cui chi è prudente deve stare lontano?

Tutto inizia alla fine del 2008, quando su internet compare un protocollo che lancia il Bitcoin, che viene presentato come una moneta elettronica innovativa. Ma una moneta lo è davvero? In una economia di mercato, in un qualsiasi scambio tra due persone, una moneta è efficace quando è un mezzo di pagamento che entrambi accettano, perché gli attribuiscono un valore. Questo valore dipende da quattro proprietà, tra loro intrecciate: il valore d’uso; il valore di scambio; il valore relativo; il valore informativo. Prendiamo lo strumento che nei secoli ha rappresentato la moneta per antonomasia: l’oro, magari sotto forma di dollaro, o sterlina. L’oro ha un suo valore d’uso, perchè è un bene scarso, ed in più che può essere utilizzato per fini artigianali ed industriali; ha un valore di scambio, proprio perchè si ritiene che tanti lo possano accettare negli scambi; ha un valore relativo in termini di potere d’acquisto di altri beni; ha un valore informativo, nel senso che non diffonde informazioni su chi lo usa, essendo anonimo.

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Due precisazioni importanti. Il valore dell’oro non sarà mai zero, perché, male che vada, ha un suo valore d’uso, per gioielleria o altro. Se la moneta non è un bene fisico, come l’oro, ma una attività finanziaria, il valore d’uso è rappresentato dal potenziale rendimento, ed inoltre ci sarà sempre un soggetto terzo che ne garantisce le proprietà. Se è una banconota di dieci euro, c’è la banca centrale europea che ne garantisce la distribuzione e l’affidabilità, ed il suo potere d’acquisto. Lo stesso accadrà quando ci saranno gli euro digitali, di cui occorrerà garantire anche la tutela della riservatezza. In generale -si pensi agli assegni, o alle carte di credito - c’è sempre un soggetto terzo che registra gli scambi, per evitare il rischio che qualcuno utilizzi due volte la stessa moneta per fare due pagamenti diversi.

Ed il Bitcoin? È un segnale informatico, la cui produzione è regolata dal protocollo, che è la vera novità, e di cui il Bitcoin è solo la specifica applicazione monetaria. Tre sono le proprietà fondamentali. Primo: non esiste un soggetto terzo, perchè tutti gli scambi sono registrati, una volta e per sempre, dal protocollo. Secondo: ciascun utente può teoricamente diventare un produttore, purchè abbia mezzi tecnologici sofisticati e potenti, anche in termini di consumo di energia. Terzo: la produzione totale di Bitcoin ha un limite, definito ed immutabile fin dall’inizio,e sempre dal protocollo, pari a ventun milioni di Bitcoin, di cui diciannove già prodotti. È stato calcolato che l’ultimo Bitcoin verrà prodotto nel 2140. Sempre che il protocollo non venga alterato, o modificato.

Ma il Bitcoin è una moneta? No. Non essendo nè un bene – come l’oro – nè uno strumento finanziario – non ha un valore intrinseco. Vale zero. E’ uno strumento molto utilizzato negli scambi? No, se si escludono quelli legati ad i traffici illeciti ed al riciclaggio dei capitali criminali. Mantiene il suo valore nel tempo? Assolutamente no, visto che il suo andamento assomiglia a quello di un vagone sulle montagne russe. Anche l’anonimato non è assoluto, ogni qualvolta si voglia trasformare Bitcoin nelle tradizionali monete di scambio.

Ma allora perchè tanta popolarità? Il suo motore è antico come l’uomo: l’avidità. È una forma di investimento speculativo: le sue oscillazioni attirano chi è convinto di saper cavalcare le ondate di rialzo e ribasso che caratterizzano il suo prezzo, comprando nei momenti di ribasso, vero o presunto, e vendendo in quelli di rialzo, vero o presunto. È una bolla finanziaria. La storia ne è piena: la più famosa è quella dei bulbi dei tulipani olandesi nel Seicento.

Niente di nuovo sotto il sole, compreso il fatto che le autorità di vigilanza, da sempre, tollerano le bolle, almeno finchè non causano danni macroeconomici. La ragione è semplice: chi si muove in mercati non regolamentati – come quello dei Bitcoin – deve essere conscio dei rischi che corre. Se non lo è, ne deve pagare i costi, imparando così i vantaggi di operare invece nei mercati regolamentati. Se poi ci sono lobby finanziarie interessate, ecco che la Sec – l’autorità che controlla Wall Street - addirittura autorizza uno strumento finanziario associato ai Bitcoin. L’oro digitale non esiste. I tulipani sì.

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