Startup

Il premio Nobel Michael Spence: «Per le startup occorre creare un ecosistema»

di Maximilian Cellino

(Reuters)

2' di lettura

«Se si vuole favorire lo sviluppo delle start up dobbiamo creare attorno a loro un ecosistema che aiuti le imprese a concentrarsi esclusivamente su ciò che sanno creare e sviluppare» . Ha pochi dubbi Michael Spence, premio Nobel per l’Economia 2001, sul modo in cui l’Italia dovrebbe colmare il divario esistente con altri Paesi, anche europei, quando si parla di aziende con alto contenuto innovativo: si tratterebbe di costruire un ambiente congeniale, all’interno del quale «la creatività e l’innovazione possano prosperare e addirittura accelerare».

«Gli ecosistemi possono essere considerati come un talento creativo combinato con una serie di risorse complementari e una struttura di rete che consenta e faciliti i flussi di idee e la collaborazione», spiega infatti Spence, che Il Sole 24 ore ha incontrato a Milano in occasione del primo Sep Scaleup Summit. L’esempio tirato in ballo in questo caso, e non senza sorpresa, è quello di Alibaba. «In genere - sottolinea Spence - si tende a considerarla una società di e-commerce, una sorta di Amazon cinese, ma si sbaglia perché Alibaba è una piattaforma che funziona come un’architettura di un ecosistema complesso e in crescente, che include progettisti, imprenditori, attività commerciali, di credito, logistica, integrazione di negozi online e offline, catene di approvvigionamento e produzione: tutti attori complementari che interagiscono sulla rete, con risposte rapide guidate da dati e algoritmi».

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«Per raggiungere un risultato simile occorre certo tempo», ammette l’economista, e il suo pensiero in termini di ecosistema va al paradigma assoluto, la Silicon Valley: «La prima volta che la ho visitata, ormai più di 40 anni fa, a stento si potevano incontrare le infrastrutture più basilari, ora però esiste la possibilità di procedere in modo più spedito grazie al contributo delle piattaforme digitali». La strada da seguire è in ogni caso tracciata ed esiste speranza pure per l’Italia, dove ad agire da freno secondo Spence è anche la tipica struttura «famigliare» di certe imprese , dove i proprietari-manager «faticano a cedere quote di capitale e rinunciano così ad avere risorse aggiuntive a disposizione che potrebbero essere messe a disposizione per finanziare investimenti in tecnologia».

Alla domanda se esista nel nostro Paese qualcosa che almeno lontanamente possa somigliare a questa tipologia di sistema, Spence si fa dubbioso e riflette a lungo, ma poi indica in Milano, nell’ecosistema che gira attorno alla moda un esempio possibile: «In un solo luogo - indica l’economista - abbiamo una concentrazione elevata di creativi nell’industria del lusso o del design, persone che comunicano l’una con l’altra e in questo modo favoriscono l’emergere di idee e la creazione di talenti». Non sarà proprio la Silicon Valley, ma secondo Spence è comunque «un asset intangibile in grado di favorire la crescita economica italiana».

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