supermajor al tramonto?

Exxon gigante malato del petrolio Usa: delude ancora su produzione e utili

di Sissi Bellomo

(Ap)

3' di lettura

Il petrolio ha ripreso slancio e molte compagnie sono tornate a macinare utili come ai tempi d’oro del barile a 100 dollari. Ma per Exxon Mobil la crisi continua.

Il gigante del greggio americano ha deluso un’altra volta il mercato, con un nuovo calo della produzione – un declino che stride con il boom delle estrazioni negli Stati Uniti – e profitti inferiori alle attese: addirittura i più scarsi, per il primo trimestre, dal 1999, anno della fusione tra Exxon e Mobil.

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Chevron, altro peso massimo del petrolio a stelle e strisce, che come sempre ha presentato i risultati nello stesso giorno, si è invece buttata alle spalle le difficoltà: nonostante la brutta performance nel downstream (problema comune vista la recente caduta dei margini di raffinazione) la compagnia ha risollevato gli utili del 35% a 3,6 miliardi di dollari, grazie a una produzione in rialzo del 6% a 2,85 milioni di barili al giorno.

Exxon ha invece subito un calo della stessa misura, attestandosi a 3,89 mbg. Da almeno due decenni non estraeva così poco tra gennaio e marzo.

Persino negli Usa – dove chiunque, grazie al rally del petrolio, è tornato a trivellare all’impazzata – Exxon è riuscita a spremere appena il 2% in più, a fronte del +65% di Chevron. L’incremento quanto meno le ha permesso di tornare, dopo anni di perdite, a generare utili in patria (429 milioni per la precisione). Ma nel complesso i profitti hanno deluso, salendo di appena il 16% a 4,7 miliardi di dollari, e il mercato ha reagito male: il titolo, tra i più bistrattati a Wall Street, è arrivato a perdere più del 5%.

Discendente diretta dell’impero petrolifero dei Rockfeller, Exxon è stata a lungo la Supermajor per antonomasia, grandissima e potente, con affari in tutto il mondo e una ricchezza che tuttora fa invidia a molti Stati sovrani: nel 2017 ha fatturato 237 miliardi di dollari, più del Pil della Grecia, che si è fermato a 204 miliardi. La maggiore delle «Sette sorelle» però non sta invecchiando bene.

Exxon, che da un paio d’anni non riesce ad arrestare il calo di produzione, è saltata in ritardo sul carro dello shale e ha fatto diversi passi falsi, come l’acquisto strapagato di Xto Energy nel 2010, poco prima che negli Usa il prezzo del gas crollasse. Il suo indebitamento è intanto salito.

La compagnia, un tempo la maggiore Blue Chip del listino americano, ora è soltanto nona per capitalizzazione. E non solo perché sono emersi colossi hi-tech come Apple, che vale più del doppio, o Alphabet, ma perché è sempre meno amata dagli investitori: il titolo Exxon ha perso il 7% da inizio anno e ora scambia a meno di 80 $. Come a inizio 2016, quando il petrolio era crollato sotto 30 $/barile.

Il ceo Darren Wood cerca il riscatto investendo in nuovi progetti di esplorazione e sviluppo di giacimenti: Exxon, a differenza di molti concorrenti, ha ripreso a spendere (il capex è salito del 17% nel trimestre a 4,9 miliardi di $.) Ma questa strategia la spinge a risparmiare sui buyback, in cui un tempo era generosissima. Sono sospesi dal 2015 e non riprenderanno a breve:  ci sono altre priorità ha chiarito il management, rischiando di allontare altri investitori.

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