Economia

Scattano i dazi europei contro gli Usa: dai Levi's al bourbon. Trump minaccia le auto

(ap)
Le contromisure di Bruxelles alle tariffe su alluminio e acciaio: colpiti 2,8 miliardi di prodotti americani. Il presidente Usa contrattacca e minaccia il 20% sull'import di veicoli
3 minuti di lettura
MILANO - Anche l'Europa scende infine in guerra commerciale contro gli Stati Uniti. Oggi sono scattati i dazi voluti da Bruxelles in risposta alle mosse protezionistiche di Trump, che aveva prima minacciato e poi fatto entrare in vigore le maggiorazioni tariffarie per l'importazione negli Stati Uniti di acciaio e alluminio da parte di imprese - tra le altre - del Vecchio continente. Ma già si vede una potenziale spirale di mosse e contromosse che spingerebbe il globo in un conflitto commerciale dalle proporzioni preoccupanti: il presidente Usa già minaccia di andare a colpire le esportazioni di auto europee, uno schiaffo che suonerebbe più forte per un Paese come la Germania.

Andiamo con ordine per ricordare come si è arrivati a questo punto. La causa scatenante della reazione europea sono stati i dazi imposti dalla Casa bianca al 25% sull'acciaio e al 10% sull'alluminio. Un pacchetto di misure protezionistiche che colpisce anche Canada e Messico e che inizialmente era stato sospeso, lasciandolo pendere come minaccia nella speranza di trovare intese alternative e favorevoli agli Usa. Accordi che non sono arrivati: dall'inizio di giugno le misure Usa sono entrate in vigore.

Fin da subito, Bruxelles ha condannato la scelta protezionistica di Trump, così come i suoi leader più pesanti, da Macron a Merkel. E sono arrivate le contromisure. I dazi europei scattano oggi su 2,8 miliardi di dollari di merci importate dagli Usa. Cecilia Malmström, commissaria Ue al Commercio, nel momento dell'ufficializzazione delle misure dichiarava amaramente: "Non avremmo voluto trovarci in questa situazione. Tuttavia, la decisione unilaterale ed ingiustificata degli Stati Uniti di imporre dazi su acciaio e alluminio provenienti dall'Ue non ci lascia altra scelta. Le regole del commercio internazionale, che abbiamo elaborato nel corso degli anni insieme ai nostri partner americani, non possono essere violate senza alcuna reazione da parte nostra. La nostra risposta è misurata e proporzionata". Insomma, la sensazione di esser stati tirati in una guerra non voluta per la giacchetta è più che evidente, tanto che la stessa commissaria ha fatto presente che "se gli Stati Uniti revocheranno i loro dazi, anche le nostre misure saranno abrogate". Il Messico ha già fatto entrare in vigore le sue tariffe all'inizio del mese e il Canada si appresta a farlo all'inizio di luglio.

I dazi europei sono stati imposti su una lunga lista di prodotti americani, 200 categorie merceologiche tra le quali molte vittime 'simboliche' della cultura e del commercio americani. Ci sono barche, moto (Harley-Davidson), tessili (i jeans Levi's), prodotti agricoli (mais, tabacco, riso), prodotti alimentari (burro di arachidi, succhi di arancia e mirtillo), bourbon, whisky e sigarette. Non mancano trucchi e fondotinta, con t-shirt e canottiere. Oltre ovviamente a prodotti legati ad alluminio ed acciaio, come laminati, barre inossidabili, tubi senza saldatura, fili d'acciaio, porte, finestre e via dicendo. La maggiorazione tariffaria è generalmente del 25%, per le carte da gioco è prevista una tariffa del 10%.

Mentre si auspica che tutti tornino a più miti consigli - ma è difficile pronosticarlo, se si guarda a come si sta avvitando la spirale sull'altro fronte commerciale di Trump con la Cina - a Bruxelles si è pronti altresì ad andare oltre. Siccome la Ue stima che non siano sufficienti le misure di oggi per "pareggiare" l'affondo di Trump (che ha un valore economico di 6,4 miliardi), nel giro di tre anni "o prima" potrebbero scattare tariffe europee su altri 3,6 miliardi di euro di prodotti.

E allora la spirale, come ha mostrato il caso cinese, potrebbe anche farsi più ripida. Trump aveva già messo in moto la macchina per colpire le auto. Già dalla fine di maggio, la Casa Bianca ha armato il suo dipartimento del Commercio con il falco Wilbur Ross per valutare se anche le importazioni di automobili negli Usa possano rientrare nel novero delle minacce alla "sicurezza nazionale". Lo stesso iter che ha portato la furia protezionistica di Trump a muovere sul tech cinese e sull'acciaio. Oggi il presidente americano ha rispolverato la questione, in risposta all'ufficializzazione delle tariffe europee.  "A lungo l'Ue ha imposto dazi e barriere commerciali sugli Stati Uniti, le loro grandi aziende e i loro lavoratori. Se questi dazi e queste barriere commerciali non saranno presto rimossi, metteremo dazi del 20% su tutte le loro auto in arrivo negli stati uniti. Costruitele qui!", sono le parole con le quali ha attaccato l'Europa. Parole che sono bastate per deprimere i titoli del settore: Fca ha perso ad esempio più del 3%.

Nei giorni scorsi erano circolate proposte distensive - ad esempio dei produttori tedeschi - di azzeramento reciproco delle tariffe. E anche stime sui possibili costi della spirale: ipotizzare un balzello sulle auto imposto dagli Usa al 25% (dal 2,5% attuale, mentre i dazi europei sono al 10%) vorrebbe dire un colpo fino a 20 miliardi di dollari per l'economia tedesca. Nel complesso dell'Unione europea, avevano stimato qualche tempo fa da Unicredit, costerebbe un potenziale dimezzamento dell'export di veicoli con un danno da quasi 30 miliardi.


Già in queste ore, le quattro ruote stavano soffrendo particolarmente la tensione commerciale su scala mondiale. Ieri Daimler è stato il primo grande gruppo a ribaltare sul proprio bilancio i dazi e contro-dazi scattati in queste settimane: ha dovuto rivedere al ribasso le stime di utili per il 2018, con tanto di tonfo in Borsa che ha appesantito tutto il comparto. Nel caso specifico, pesano le contromisure che la Cina ha fatto scattare sull'import di auto dagli Stati Uniti, da dove molte case (anche europee) producono. Un po' tutti i grossi gruppi hanno cercato di impiantare la produzione in Cina, ma ancora oggi l'import di auto nel gigante asiatico è a livelli altissimi. Solo Volkswagen, dicono da Bloomberg, potrebbe approfittare della situazione visto che realizza in Europa i suv che vende in Cina. Bmw, Toyota e Mercedes sono grandi esportatori verso Pechino; in molti casi realizzano negli Stati Uniti e - notano alcuni - sarebbe un colpo per Trump vedere i loro stabilimenti Usa andare in crisi per la guerra commerciale da lui stesso avviata.