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Oro ai massimi da dieci mesi. E il palladio «brilla» ancora di più

di Sissi Bellomo

Bankitalia. De Mattia a Radio24: riserve oro per stabilità moneta, impossibile usarle

2' di lettura

L’oro continua a brillare nel 2019, superato nel firmamento dei metalli preziosi solo dal palladio, che sul timore di un crescente deficit d’offerta scambia a prezzi mai visti in precedenza. Il metallo, impiegato soprattutto nelle marmitte catalitiche per motori a benzina, ha di nuovo aggiornato il record storico a 1.458 dollari l’oncia e dall’inizio dell’anno è in rialzo del 15%, dopo essere quasi raddoppiato di valore nel corso del 2018.

Per l’oro la performance non è stata altrettanto spettacolare: le quotazioni, ieri ai massimi da dieci mesi, oltre 1.327 dollari l’oncia, sono salite di poco più del 3% nel 2019, dopo un leggero ribasso l’anno scorso (e una caduta ai minimi da 18 mesi, sotto 1.200 $, a metà agosto). Il lingotto sembra comunque aver svoltato l’angolo.

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La soglia psicologica dei 1.300 dollari, superata a fine gennaio, sta tenendo bene. L’oro nei giorni scorsi ha proseguito l’ascesa anche nelle fasi di rafforzamento del dollaro – che di solito rappresentano un vento contrario – e nelle giornate di recupero delle borse, come quella di ieri, che ha riportato i listini asiatici ai livelli di ottobre: un’ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che non è solo la ricerca di beni rifugio a sostenere il metallo giallo.

Il fattore chiave sono le banche centrali, che da un lato – guidate dalla Federal Reserve – stanno aggiustando la rotta delle politiche monetarie e dall’altro stanno accumulando riserve auree a ritmi che non si vedevano da mezzo secolo: secondo il World Gold Council nel 2018, al traino della Russia, c’è stato un incremento di 651,5 tonnellate (+74% rispetto all’anno prima).

Di recente anche la Cina è tornata a fare – o quanto meno a comunicare – acquisti: le riserve di oro della banca centrale, che risultavano invariate da ottobre 2016, sono aumentate di 10 tonnellate a dicembre e di altre 11,8 tonnellate a gennaio, raggiungendo 1.864 tonnellate circa (59,94 milioni di once).

Pechino, come anche Mosca, in parallelo sta riducendo il possesso di titoli di Stato americani: a novembre la banca centrale cinese aveva in mano Treasuries per 1.121 miliardi di dollari, il minimo da maggio 2017.

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