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Truffa diamanti, chiesti rimborsi per 645 milioni a UniCredit e Banco Bpm

di Stefano Elli

2' di lettura

Sono 13.300 per il Banco Bpm e 5.680 per UniCredit le richieste di rimborso giunte dai rispettivi clienti per la vendita dei diamanti finita sotto inchiesta della procura di Milano (che indaga per truffa aggravata e autoriciclaggio). Le due banche, indagate per la legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, fungevano da “segnalatrici” nel processo di vendita delle pietre alla clientela retail e avevano stretto accordi di commercializzazione con una sola delle due società che distribuivano le pietre preziose: la fallita Idb (Intermarket Diamond Business). Mentre gli altri istituti coinvolti (Mps e Intesa Sanpaolo) avevano patti commerciali con la Dpi ( Diamond Private Investment) .

Accantonati 318,3 milioni

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Nel caso del gruppo Banco Bpm (che agiva anche attraverso la rete della controllata Banca Aletti), l’istituto risulta avere stanziato in bilancio risorse per 318,3 milioni, di cui 33,1 milioni già utilizzati nel 2018, per tacitare una parte dei contenziosi. L’istituto lombardo-veneto, che per venire a capo della vicenda ha formato una vera e propria task force coinvolgendo 150 dipendenti, fa sapere di avere completato l’istruttoria su 9.499 reclami chiudendo allo stato 2.570 transazioni. Sul Fronte UniCredit, invece, le richieste di rimborso giunte dai clienti ammontano a 5.680 per un controvalore di 215 milioni. La banca guidata da Jean Pierre Mustier a quanto si legge nella relazione del collegio sindacale nel bilancio 2018ha già provveduto a rimborsare 1.623 clienti per complessivi 74 milioni di euro. Ma già a partire dal 2017 aveva avviato iniziative atte a riconoscere ai propri clienti “l’originario costo sostenuto per l’acquisto dei preziosi e il conseguente ritiro delle pietre”.

La Manleva al fallimento Udb

Nelle scorse settimane alla redazione di «Plus24», settimanale di Risparmio del Sole24Ore, erano giunte alcune segnalazioni su una delle clausole previste negli accordi fatti sottoscrivere da UniCredit ai propri clienti. Si tratta di una condizione che esplicitamente impegna la propria clientela a non insinuarsi nel fallimento della Intermarket diamond business. Una procedura concorsuale verso cui UniCredit, almeno per il momento, non sembra avere alcun collegamento. La domanda, dunque, sorge legittima e spontanea: come mai l’Istituto di piazza Gae Aulenti ritiene di porre la procedura fallimentare di Intermarket Diamond Business al riparo da eventuali insinuazioni al passivo della massa dei suoi clienti? La banca interpellata nel merito ha replicato solo che «UniCredit per propria policy non commenta i procedimenti in corso - e ha confermato - che collaborerà con le autorità competenti continuando a offrire servizi di assistenza ai clienti interessati». Non è chiaro, dunque, se l’iniziativa sia finalizzata a proteggere il fallimento da una grandinata di insinuazioni al passivo che potrebbe ritardare la ricostruzione delle attività /passività rallentando i riparti, oppure se la banca intenda costruirsi un percorso civilistico autonomo per potere a propria volta insinuarsi in via esclusiva al fallimento dell’ex partner commerciale. Nel frattempo l’inchiesta della Procura milanese prosegue.

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