Ubi, Pietro Gussalli Beretta: «Le banche italiane devono crescere. Il patto? Per la stabilità»

di Nicola Saldutti

Ubi, Pietro Gussalli Beretta: «Le banche italiane devono crescere. Il patto? Per la stabilità» Pietro Gussalli Beretta

Pietro Gussalli Beretta rappresenta la quindicesima generazione dell’industria a cui la sua famiglia ha dato il nome. È presidente e amministratore delegato della Beretta holding, che fattura quasi 700 milioni, e membro del consiglio di amministrazione di Ubi e partecipante del nuovo Patto di consultazione della banca. Fare impresa dal 1526 è un buon punto d’osservazione sulle banche: «Un mondo che sta cambiando ad una velocità incredibile. Rispetto a dieci anni fa, quando è iniziato il mio impegno con Ubi, è cambiato tutto. E nei prossimi tre anni cambierà ancora più rapidamente. Le banche devono ripensare i loro modelli di business, come è accaduto a molte imprese. Anche alla mia. Basti guardare ai nuovi modi di utilizzare i servizi da parte dei giovani...».

Ma per Ubi quale dovrà essere la strada?
«Starà all’amministratore delegato indicare le scelte. Ma una cosa è certa: per le banche il fattore dimensionale è importante e inevitabile, come nell’industria. E lo sarà ancora di più nei prossimi anni. Ma la banca dovrà pensare a nuovi servizi innovativi e tecnologicamente avanzati per famiglie e imprese, per sostenere i loro progetti di sviluppo in Italia e all’estero. In primo luogo rafforzando le fabbriche prodotto. Dopo la fase di pulizia dei conti adesso bisogna guardare oltre. E Ubi ha tutte le carte in regola per continuare ad essere un attore importante nel panorama delle banche italiane».

Eppure, ogni tanto si sente l’eco delle gelosie tra le città, lei è bresciano, ma le anime sono diverse. Bergamo, Milano, Pavia, Cuneo...
«Io penso che la capillarità e la presenza sui territori siano senza dubbio un punto di forza, ma Ubi è una banca nazionale con una forte vocazione industriale. Auspico che questa precisa identità venga mantenuta. E se si osserva bene il settore bancario i cambiamenti vanno in questa direzione. Le battaglie dei campanili, tipiche del nostro Paese, non possono frenare l’evoluzione del mercato».

Da gennaio sarà operativo il patto di consultazione, che raggruppa circa il 17,7%...
«Quando Domenico Bosatelli me ne parlò per la prima volta condivisi subito il pensiero che c’era dietro. Siamo un gruppo di famiglie di imprenditori che condividono un progetto di crescita ed hanno investito risorse personali. Famiglie che operano nell’economia reale e che affiancano il management con l’unico obiettivo di rafforzare la banca».

A quanto ammonta l’investimento del patto?
«Circa 200 milioni per quando riguarda noi imprenditori. Come vede non è solo un accordo di principio, ma è un impegno concreto. Il patto di consultazione è una struttura aperta e se ci saranno altre famiglie che condividono questa visione saranno le benvenute. Dispiace un po’ quando il dibattito si ferma ai campanili, se vince Bergamo o se vincono Brescia, Pavia o Cuneo. Qui abbiamo di fronte una sfida molto importante: contribuire alla crescita di valore della banca. Come imprenditori siamo pronti a fare la nostra parte, dal momento che in un Paese senza banche forti per le imprese svilupparsi diventa più difficile».

Nel risiko il nome più gettonato è il Banco Bpm: sarebbe una scelta giusta per Ubi?
«Non è questo il mio ruolo, esamineremo le proposte, se e quando ci verranno presentate dall’amministratore de-legato in cui abbiamo piena fiducia. Ma non è una questione di mere ipotesi finanziarie. Tutte le opportunità andranno esaminate ma la situazione rende necessario guardare ad un disegno ampio e organico. Non è una questione finanziaria, ma industriale».

Non sempre le fusioni hanno dato vita a colossi più forti
«Appunto. In tutti i settori le fusioni hanno creato grandissimi benefici ma anche dato vita, in qualche caso, a formidabili flop. Ci vuole grande prudenza. L’esperienza del passato serve a calibrare bene tutti i fattori. Il punto è essere attivi e vigili in questi processi di aggregazione, per non subirli ed essere pronti a cogliere le opportunità migliori. In questo processo Ubi potrà avere un ruolo centrale. In questo processo affiancheremo l’amministratore delegato, Victor Massiah, nel suo lavoro. E questa creazione di valore non potrà che avere effetti positivi per tutti gli altri azionisti, anche i più piccoli».

Nell’azionariato ci sono investitori istituzionali...
«È una grande ricchezza, sono azionisti che credono nelle potenzialità della banca. Ma ritengo che la presenza di un gruppo di azionisti industriali sia un vantaggio per tutti. Avere un gruppo di famiglie imprenditoriali con una visione di medio lungo termine, la stessa che abbiamo per le nostre imprese, credo sia un punto di forza. E il mercato a un certo punto lo capirà».

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