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Soia, petrolio, gas. Ecco perché il mercato non può credere ai patti Usa-Cina

di Sissi Bellomo

4' di lettura

La tregua commerciale tra Cina e Stati Uniti è stata festeggiata dalle Borse, ma non dalle materie prime, che pure sono al centro degli accordi firmati mercoledì, con enormi impegni di acquisto da parte di Pechino. Le quotazioni non si sono mosse, o addirittura sono calate, come nel caso della soia, che è scesa ai minimi da un mese a Chicago: una reazione clamorosa, visto che si tratta di una delle principali voci di scambio tra i due Paesi. Forti ribassi hanno colpito anche i cereali, il cotone si è indebolito. Solo il petrolio – in declino mentre si firmava l’accordo – ieri è rimbalzato.

Gli investitori, si sa, comprano sulle attese e vendono sulla notizia. Ma non è questo il caso: i semi di soia oggi valgono appena il 3% in più rispetto al 12 dicembre, il giorno prima che Washington e Pechino annunciassero i contenuti dell’intesa.

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La Cina non riuscirà a spingere l’import made in Usa
Ora si conosce qualche dettaglio in più. E lo scetticismo, che già da tempo aleggiava sul mercato, è cresciuto: la Cina non riuscirà a spingere le importazioni di prodotti «made in Usa» ai livelli – davvero stratosferici – previsti dagli accordi. A maggior ragione se i dazi, com’è stato chiarito, non verranno revocati a breve.

Non è tutto. Il vicepremier cinese Liu He, che ha guidato i negoziati, ha sottolineato che gli acquisti di materie prime «saranno fatti a prezzi di mercato, in base a considerazioni commerciali» e che «il timing degli acquisti, in particolare per i prodotti agricoli, potrebbe essere dettato dalle condizioni del mercato». Liu ha anche voluto rassicurare gli altri partner commerciali, come il Brasile, subentrato agli Usa come primo fornitore di soia: «Nessun Paese può esportare in Cina tutto ciò che vuole, bisogna dimostrare la competitività del prodotto».

Eppure gli scambi con gli Stati Uniti dovranno letteralmente prendere il volo, se Pechino vuole rispettare la Fase 1 degli accordi, passo indispensabile per arrivare alla Fase 2, che dovrebbe cancellare i dazi.

Tra quest’anno e il prossimo la Cina ha promesso importazioni extra per almeno 200 miliardi di dollari. Quasi metà dell’obiettivo dovrà essere raggiunto comprando materie prime. Gli acquisti di prodotti agricoli dagli Usa dovranno aumentare di 32 miliardi rispetto ai 24 spesi nel 2017, portandosi a 36,5 miliardi quest’anno e 43,5 miliardi il prossimo.

Per i prodotti energetici – come il petrolio e il gas, che gli Usa stanno cercando in ogni modo di imporre sui mercati mondiali – il conto dovrà salire di ben 52,4 miliardi di dollari: la Cina, dagli 9,1 miliardi del 2017, dovrà arrivare a 27,6 miliardi nel 2020 e addirittura 43 miliardi nel 2021.

Per molti analisti il traguardo, in entrambi i settori, è irraggiungibile. E la remota possibilità di successo preoccupa più del quasi certo fallimento: i  rischi citati vanno dall’eccessiva dipendenza degli Usa da un singolo ”cliente”, quello cinese, alla possibilità che i fornitori concorrenti scatenino una guerra dei prezzi per difendere le quote di mercato in Cina, fino a ipoteitche carenze di alcuni prodotti per i consumatori americani.

Comunque sia, i numeri non tornano
Il record assoluto di esportazioni agricole da parte degli Usa – verso qualunque destinazione – è 42,4 miliardi di dollari, raggiunto peraltro nel 2011, quando il Food Price Index calcolato dalla Fao era ai massimi storici.

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La Cina, che in tempi di pace commerciale comprava il 60% del raccolto di soia degli Usa, potrebbe forse tradire il Brasile per tornare al vecchio fornitore. Ma nel frattempo il suo fabbisogno è crollato, dopo che gli allevamenti di maiali sono stati decimati dalla febbre suina. La necessità di importare più carni potrebbe a sua volta favorire gli Usa, ma in tutto il mondo Washington ha venduto carni suine per soli 6,4 miliardi di $ nel 2018.

Qualche possibilità in più sembra offrirla il comparto energetico
La produzione Usa è tuttora in espansione e i consumi cinesi pure, benché meno di un tempo. Ma i dazi imposti da Pechino – al 5% sul petrolio e al 25% sul Gnl a stelle e strisce – sono un grave ostacolo. E in questo caso gli obiettivi del patto sono ancora più sfidanti.

Per la Cina il record di acquisti di petrolio Usa è 510mila barili al giorno, a giugno 2018. Il picco per il Gnl è 452mila tonnellate, a gennaio dello stesso anno, per il carbone 957mila tonnellate a febbraio 2017. Se nel 2020-2021 gli acquisti di Pechino fossero sempre su quei livelli record, ai prezzi attuali gli Usa otterrebbero entrate per 13,13 miliardi di dollari, fa notare Clyde Russell, analista di Reuters. Briciole rispetto agli obiettivi fissati.

Per approfondire:
Guerra dei dazi, pace Usa-Cina. Cosa prevede l'accordo
La tregua sui dazi fa correre la soia. Ma gli impegni della Cina sono un rebus
Perché l'accordo Usa-Cina non risolve le tensioni commerciali globali

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