Anno bisesto, anno funesto. Recita così un antico detto popolare, che pare aver trovato riscontro nei fatti in questo avvio di 2020 con il rapido diffondersi del coronavirus. L’impatto sui mercati finanziari è stato semplicemente dirompente. Basti pensare che il FTSE Mib 40, il paniere principale di Piazza Affari, lo scorso 19 febbraio siglava i massimi da oltre un decennio in area 25.500 punti, mentre un mese più tardi navigava in acque burrascose sotto quota 15.000, con la capitalizzazione di Borsa Italiana che è crollata del 40% in appena una ventina di sedute. Anche le borse americane non sono state indenni alle vendite: l’S&P500 è infatti sceso da 3.400 fino a dei minimi in area 2.100 punti nello stesso arco temporale, per poi rimbalzare sulle aspettative di massicci interventi da parte delle banche centrali per sostenere l’economia.

In questo scenario quasi tutti i principali strumenti finanziari hanno perso terreno nei primi mesi del 2020. C’è però un’eccezione: l’oro che, come tradizione vuole, ha conservato il suo ruolo di bene rifugio nelle tempeste dei mercati finanziari. Da inizio anno il metallo giallo ha infatti guadagnato il 6,5% nella sua denominazione in dollari mentre in euro il rialzo naviga intorno all’8%, a fronte di un prezzo che naviga poco sopra i 1.600 dollari all’oncia.

Perché si vende il metallo giallo

Anche l’oro, però, si è mosso a strappi, con varie implicazioni sul prezzo derivanti dal coronavirus. La crisi sui mercati azionari è scoppiata fra il 19 ed il 20 febbraio. Nei primi giorni l’oro ha proseguito il suo cammino rialzista mentre le borse stornavano, arrivando ad aggiornare i massimi degli ultimi sette anni a 1.700 dollari il 9 marzo scorso. Va tuttavia segnalato come, nel corso delle sedute più drammatiche per i listini azionari (in particolare quella del 28 febbraio e nei giorni fra il 9 ed il 16 marzo), l’oro sia spesso crollato contestualmente a discese del comparto azionario. A determinare le vendite sull’oro sono state per lo più le cosiddette “margin call”, ossia le chiamate margine, che hanno costretto numerosi fondi a chiudere – spesso in preda al panico – posizioni sull’oro per poter avere il margine per mantenere aperte altre posizioni in forte perdita sull’azionario o sull’obbligazionario.

Ma le implicazioni del coronavirus sul prezzo dell’oro non si fermano qui. Fra gli elementi negativi troviamo per il 2020 un calo della domanda della gioielleria (settore che pesa per quasi metà della domanda complessiva di oro fisico), mentre la frenata dell’economia determinerà con tutta probabilità anche un calo della domanda industriale (settore da cui arriva fra l’8 ed il 10% della domanda di oro).

Trasporti difficili e produzione in affanno

La battuta d’arresto delle borse e la fuga degli investitori dagli asset più rischiosi contribuiscono invece a spingere al rialzo la domanda di oro per investimento, in particolare per quanto riguarda il fisico ossia barre e lingotti. Anche in questo caso al boom della domanda sono associate alcune complicazioni. I blocchi governativi imposti dal coronavirus hanno infatti reso difficile il trasporto del metallo prezioso da una sede all’altra e la sua consegna fisica. Inoltre, alcune delle maggiori raffinerie svizzere sono state costrette a fermare temporaneamente le attività, aumentando il caos sui mercati. Tutto ciò mentre il mercato fisico di Londra, tradizionalmente il più liquido al mondo, vedeva spread (ossia differenze di prezzo fra domanda ed offerta) ingenti, nell’ordine di varie decine di dollari, su valori record. Sempre a proposito delle conseguenze del coronavirus, per il 2020 è lecito attendersi un impatto anche sulla produzione di oro, dopo che i cosiddetti “lockdown” di numerosi paesi produttori, fra cui Sudafrica, Argentina, Perù e Canada, hanno determinato una temporanea chiusura di alcuni stabilimenti. Fra le aziende estrattive coinvolte in questa frenata produttiva spiccano alcuni colossi come Newmont, Gold Fields, AngloGold Ashanti e Agnico Eagle Mines. La durata del fermo degli impianti sarà cruciale per comprendere quella che sarà il reale calo della produzione rispetto alle circa 3.500 tonnellate ipotizzate dalle principali case di studio fino a qualche mese fa.

Le misure della Bce

C’è poi un altro aspetto da analizzare. La Bce ha già annunciato massicce misure di intervento per fronteggiare la crisi per ben 750 miliardi di euro, così come numerose altre banche centrali. La Federal Reserve si è spinta oltre, annunciando un Quantitative Easing potenzialmente illimitato. In altre parole, le banche centrali sono pronte a stampare quanto necessario per fronteggiare questa crisi che appare diversa da tutte le precedenti. La quantità di oro estratta, però, non potrà crescere di pari passo, anzi, quest’anno potrebbe addirittura scendere, rendendo l’oro un bene ancora più “scarso”, visti i limiti estrattivi. Ed il prezzo del lingotto potrebbe ulteriormente beneficiarne.

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