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Per oro e argento è arrivata l’ora del pit-stop

Per la seconda seduta di fila il metallo giallo resta sotto 2mila dollari l'oncia, ma per gli esperti il trend resta improntato al rialzo. Massima volatilità anche per l’argento, martedi precipitato del 15% a 26 dollari e c’è chi lo vede a quota 34 in 6-12 mesi

di Vito Lops

(Reuters)

3' di lettura

Per la seconda seduta di fila l’oro viaggia sotto i 2.000 dollari d’oncia. Di questi tempi è una notizia. Il metallo giallo continua a pagare la seduta di martedì, quella in cui ha perso il 5,7% segnando il peggior ribasso quotidiano in sette anni. A quella sbandata ieri è seguito un modesto rimbalzo (+0,5%) che ha posizionato il valore intorno ai 1.950, ben distante dal record intraday del 6 agosto a quota 2.078 ma ancor più distante dai 1.519 di inizio anno. Non si può parlare di oro senza menzionare il fratello più piccolo, l’argento, che ieri si è un po’ stabilizzato intorno ai 26 dollari, dimenticando il -15% della vigilia. Anche qui però bisogna ricordare il punto di partenza: quei 17,8 dollari di inizio anno e soprattutto quel minimo di 11,73 dollari di marzo. Dal punto più critico della pandemia finanziaria l’argento è salito del 120%, quattro volte l’oro (+31%).

Fine del trend rialzista?

A questo punto resta da capire se la recente volatilità che ha colpito i due metalli preziosi - che da questo punto di vista hanno superato addirittura il Bitcoin fermo sotto 12mila dollari - è il segnale che qualcosa si sia rotto nel trend rialzista o trattasi di una semplice, e magari fisiologica, correzione di una tendenza che ha ancora benzina.

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«Il quadro di fondo a mio avviso rimane ancoro positivo - spiega Stefano Bottaioli, consulente finanziario e responsabile territoriale di Banca Consulia -. Si sta ripetendo il copione del 2008-2011. Come allora, anche in questo nuovo ciclo si è mosso prima l’oro, esattamente nel luglio 2019 rompendo i 1.350 dollari, e solo in un secondo momento, cioè a marzo di quest’anno, l’argento. Quest’ultimo ha avuto una lunga fase di accumulazione e poi è esploso dopo aver rotto i 18,5. È stato come vedere un vulcano eruttare. La turbolenza delle ultime ore - che mi aspetto duri altre 2-3 settimane - è una scossa di assestamento. Dopodiché, se le condizioni macro resteranno immutate, ovvero tendenza del dollaro debole e discesa dei tassi reali Usa, l’argento avrebbe spazio per arrivare in 6-12 mesi fino a 34 dollari e l’oro tra i 2.200 e i 2.400. Questo perché - conclude Bottaioli - stiamo passando da una fase di deflazione, che tipicamente favorisce i titoli tech, a una di reflazione, ovvero di leggero recupero dell’inflazione, ma non così alto da spingere le banche centrali a cambiare rotta. Una fase in cui oro, e soprattutto argento perché più industriale del primo, si muovono storicamente verso l’alto».

La debolezza del dollaro

A luglio l’inflazione negli Usa mese su mese è salita dello 0,6% (più dello 0,3% atteso). Questo ha spinto ieri a nuove vendite sui T-Bond che sulla scadenza a 10 anni sono risaliti allo 0,68% rispetto ai minimi a 0,5% toccati pochi giorni fa. «Questi dati hanno contribuito a rallentare la corsa dei metalli preziosi - spiega Giuseppe Lauria, trader esperto di commodities -. Ma non sono al momento tali da incrinare il trend rialzista di lungo periodo. Oro e argento sono come due treni in corsa che adesso hanno fatto una sosta e magari ne faranno qualche altra. Ma si tratta di fermate utili per far salire altri passeggeri a bordo del rialzo». Un viaggio che però dipenderà dalla debolezza del dollaro e dalle scelte delle banche centrali (continueranno a spingere i tassi reali giù per rilanciare l’economia?). In caso contrario gli investitori potrebbero iniziare a soffrire di vertigini a queste quote.

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