Il commento

Euro digitale, la lezione cinese: non copiare lo e-yuan

Euro digitale, la lezione cinese: non copiare lo e-yuan

Pochi giorni fa, durante un’intervista, Christine Lagarde ha sostenuto che l’Eurozona e la Bce sono in ritardo di cinque anni rispetto alla Cina nello sviluppo di una valuta digitale. Resteremo indietro. Meglio così, viene da pensare. Pechino sta infatti accelerando nella creazione di un e-yuan per ragioni che non sono tutte di carattere economico. Anzi, almeno un paio, e rilevanti, sono il contrario di quanto è accettabile in Occidente.

La valuta digitale sullo smartphone

Attorno all’inizio del nuovo anno cinese (del bufalo), lo scorso 12 febbraio, è diventata famosa la distribuzione in parecchie città, da parte delle autorità, di «pacchetti rossi», hongbao, piuttosto diversi da quelli tradizionali: si è trattato di e-hongbao che non contengono banconote ma la valuta digitale che può essere scaricata sullo smartphone. È una pratica in uso da qualche anno ma che ora sta prendendo piede. Non è solo un modo per spingere i cinesi a usare strumenti di pagamento non-cash: è per abituarli a usare la valuta elettronica creata dalla Banca del Popolo di Cina, la banca centrale; e quella sola.
La ragione ufficiale per la quale il governo guidato da Xi Jinping sta cercando di bruciare le tappe nella corsa verso il renminbi digitale (e-yuan) è che il salto tecnologico dovrebbe aiutare la Cina a espandere il ruolo internazionale della sua valuta e fare una concorrenza più seria all’egemonia del dollaro. In realtà, la motivazione non è solidissima: il motivo per il quale lo yuan è poco usato come moneta di riserva, o almeno rilevante, nel mondo è che il sistema finanziario cinese è ancora troppo chiuso e opaco per attrarre investitori e operatori esteri. E la digitalizzazione da sola non cambierà questa caratteristica dell’epoca analogica.


L’eliminazione del contante e delle transazioni in banconote

Il dato di fatto, piuttosto, è che l’obiettivo dell’e-yuan è l’eliminazione delle transazioni in banconote. E al fondo il vero motivo riconosciuto da tutti gli esperti del settore è semplice: il controllo totale da parte del partito-Stato dell’attività economica e finanziaria. Un ulteriore e pervasivo strumento di ingerenza nella vita dei cittadini. Mentre in Occidente le criptovalute sono sviluppate «dal basso», a livello orizzontale e con una logica per lo più libertaria in contrasto con le banche centrali, anzi per sfuggire a esse, in Cina la moneta elettronica è non solo controllata dalla Banca del Popolo della Cina ma è anche creata da essa, viaggia su una piattaforma controllata centralmente e passa per le banche di Stato. La visuale delle autorità su ogni singola transazione è dunque totale e avviene in tempo reale. Se in Paesi democratici questa sorveglianza può in parte essere attenuata da regole e tribunali, in Cina ciò non è possibile: il potere non è sindacabile. Ufficialmente, il renminbi digitale dovrebbe avere anche lo scopo di tenere fuori dalla Cina le criptovalute estere: per farlo, però, il Partito Comunista avrebbe metodi più semplici che l’imposizione generalizzata di una criptovaluta.


La Cina: il regno dei pagamenti elettronici

C’è una seconda ragione che solleva sopraccigli in questo slancio digitale centralizzato e controllato. I cinesi sono più avanti di qualsiasi altro Paese nell’uso dei pagamenti elettronici. I due maggiori sistemi di pagamento, Ant e Tencent, sono privati e consentono a chi li utilizza di non usare contanti. Per dire, nel 2019 le transazioni elettroniche in Cina sono ammontate a 533 mila miliardi di dollari, secondo la banca dei Regolamenti Internazionali (Bri), contro i 103 mila degli Stati Uniti e i 53 mila della Germania. Con un notevole spazio di crescita: un cinese ha effettuato in media, sempre secondo la Bri, 223 operazioni cashless nel 2019, contro le 523 di un americano e le 848 di un singaporiano (in Italia sono state 125).
Lo sforzo del governo di Pechino per imporre il suo sistema di pagamento unificato nella banca centrale e soppiantare i due grandi gruppi privati è massiccio. Le città stanno conducendo esperimenti. Le banche di Stato distribuiscono renminbi digitali direttamente negli e-wallet dei clienti. E dagli sportelli Atm (Bancomat) si possono scaricare e-yuan direttamente sugli smartphone, con i quali poi si paga. L’obiettivo è che tutto sia pronto per le Olimpiadi Invernali di fine 2022.

Ant e Tencent: le fintech private nel mirino di Xi

In questo passaggio, Ant e Tencent, che assieme nel mondo hanno quasi due miliardi di utenti, saranno nel medio periodo ridimensionate, sostituite dal sistema governativo.
E questo è visto da molti osservatori come un risultato laterale ma non insignificante per Xi Jinping, il quale sta cercando di riportare sotto controllo le attività finanziarie private, a cominciare dal settore fintech: la marginalizzazione di Jack Ma di Alibaba e Ant e il blocco della quotazione di quest’ultima, nei mesi scorsi, sono il segno della direzione presa da Pechino.
Guardando da Francoforte, Lagarde ha parecchio da studiare nel caso cinese. L’obiettivo della Bce è di sviluppare essa stessa un euro digitale, anche per contrastare non solo i Bitcoin ma anche la Diem (ex Libra) di Facebook, anch’essa basata sulla blockchain. Siamo nel pieno del futuro ma i rischi posti dal controllo di Stato e dalla possibile distruzione di attività private dovranno trovare risposte: sono ancora quelli del secolo scorso.

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