OCCUPAZIONE

Da Henkel a Treofan ed ex Honeywell: le crisi dove il blocco dei licenziamenti non serve

di Rita Querzè

Da Henkel a Treofan ed ex Honeywell: le crisi dove il blocco dei licenziamenti non serve

«I tavoli di crisi sono passati da 150, numero che ho ereditato a settembre 2019, a 99, permettendo a migliaia di lavoratori di conservare il proprio posto», diceva la scorsa settimana la sottosegretaria uscente al Mise Alessandra Todde (M5S). Se il numero delle crisi aziendali si è ridotto, è grazie al lavoro su alcuni dossier. Ma anche al blocco dei licenziamenti. In pratica il bacino delle crisi è come un catino sotto a un rubinetto chiuso da un anno. Il governo potrebbe decidere di continuare così ancora per un po’. Ma non all’infinito.

Intanto alle crisi storiche — Whirlpool a Napoli, Bekaert in Toscana, ex Ilva a Taranto, Ast di Terni, Embraco in Piemonte, Acc Wanbao nel bellunese, per citare solo le più note — se ne aggiungono di nuove. Perché si possono bloccare i licenziamenti ma non impedire a un’azienda di chiudere. È il caso per esempio della ex Honeywell di Atessa, in provincia di Chieti. La multinazionale ha ceduto il sito nel 2018 e ora a occuparsi della reindustrializzazione e del ricollocamento di una parte degli oltre 300 senza lavoro dovrebbe essere il gruppo siderurgico cinese Baomarc. Ma la crisi ha complicato tutto. Altro esempio, la Henkel di Lomazzo, in provinca di Como: altri 150 senza lavoro. E ancora: a rischio liquidazione la Treofan di Terni, produttrice di film di plastica, 140 dipendenti. Nel commercio sono soprattutto le catene dei centri commerciali a soffrire: Douglas ha annunciato la chiusura di 17 profumerie, anche Zara ed H&M stanno ridimensionando la rete distributiva. Il governo Draghi non si è ancora insediato e già fioccano sul tavolo del ministro dello Sviluppo le richieste di incontro. Ieri Giancarlo Giorgetti si è confrontato con i lavoratori Whirlpool, oggi tocca all’ex Ilva. Della delegazione farà parte il leader della Fim Cisl, Roberto Benaglia: «Abbiamo bisogno di interlocutori con cui costruire soluzioni. In alcuni casi questo vuol dire cercare investitori, reindustrializzare. Servono strutture e competenze in linea con la complessità della sfida».

Per farsi un’idea delle criticità sottopelle del sistema produttivo, però, limitarsi a elencare i nomi delle aziende in difficoltà è fuorviante. Meglio considerare settori e relativi distretti. Tra le situazioni più critiche il trasporto aereo (non solo Alitalia, ieri hanno manifestato i 320 dipendenti di Norwegian airlines, che in Italia rischia di chiudere). Poi il turismo e la filiera della moda. Prendiamo quest’ultima. I sindacati avevano già presentato al governo un documento con Confindustria Moda. Si parla in tutto di oltre 200 mila posti a rischio su 700 mila, il 30% del settore, distribuiti in piccole e medie aziende. Corneliani (550 lavoratori) e Pal Zileri (500 posti) sono crisi che non passano inosservate.

Ma c’è dell’altro. «Più di tutti ci preoccupa la situazione del calzaturiero nei distretti di Macerata nelle Marche, del Brenta in Veneto, tra Pistoia e Pisa in Toscana, in Romagna e nel napoletano. Diverse aziende stanno già chiudendo», spiega Sonia Paoloni, della segreteria Filctem Cgil. Nel tessile resistono i grandi marchi che riescono a esportare nei pochi mercati che comprano, quelli asiatici. Per gli altri è emergenza: dalle piccole di Prato al distretto della lana di Biella passando per quello della seta a Como e per le concerie in Toscana, Veneto e Campania. Piccoli imprenditori e lavoratori sono a caccia disperata di risposte.

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