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Caffè Nero, il futuro deciso in Tribunale

Il destino della famosa catena di caffetterie inglese ispirate all’Italia sarà deciso dal Tribunale di Londra a luglio: alle porte gli investitori di EG Group acquirenti dei supermercati Asda

di Mara Monti

3' di lettura

La famosa catena di caffetterie inglesi «Caffé Nero» rischia il fallimento. A luglio è attesa la sentenza del Tribunale di Londra sulla ristrutturazione del primo bar «Made in UK» fondato 25 anni fa, ma le speranze di un salvataggio si fanno ogni giorno più incerte tra procedimenti legali e investitori pronti ad approfittare della situazione per rilevare la catena.

Il suo fondatore, l’americano Gerry Ford, da mesi sta cercando un accordo con i proprietari dei locali degli oltre 800 bar sparsi in tutto il Regno Unito per ottenere una riduzione degli affitti divenuti insostenibili dopo mesi di chiusura a causa del lockdown.

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Il 90% dei proprietari aveva accettato il Company Voluntary Arrangement (CVA), una sorta di procedura d’insolvenza che prevede la riduzione del 30% degli affitti per coprire parte del debito da 350 milioni di sterline. La minoranza ha preferito andare per vie legali e fare decidere a un giudice. Il quale la scorsa settimana ha dato ragione ai proprietari aggiornando l’udienza a luglio nell’attesa di sviluppi.

A complicare la vicenda è stato l’arrivo sulla scena di EG group dei fratelli Mohsin e Zaber Issa, businessmen inglesi proprietari di una catena di 6mila stazioni di servizio di benzina, Eurogarage sparse tra Regno Unito ed Europa che già lo scorso anno aveva avanzato un’offerta per rilevare Caffè Nero, ma che era stata rifiutata.

Ad ottobre EG Group era tornato a fare parare di sé con l’acquisizione della maggioranza della catena dei supermercati Asda per 6,6 miliardi di sterline, ceduta dall’americana Walmart, il primo tassello di un processo di diversificazione che ora potrebbe includere anche Caffè Nero. Per tentare il colpo, i fratelli Issa si sono fatti promotori di una operazione di disturbo, offrendo di pagare direttamente ai proprietari l’intero ammontare degli affitti mancanti.

L’ultimo bilancio di Caffè Nero chiuso a fine maggio 2020 ha registrato un calo del fatturato del 22% a 239,7 milioni di sterline e un perdita lorda di 6 milioni di sterline. Sulla testa della catena di caffè pende un covenant che EG Group si è detto pronto a riscattare.

Per il fondatore e ceo Gerry Ford perdere Caffè Nero sarebbe un duro colpo: arrivato nel Regno Unito negli anni 90, dopo un inizio di carriera alla Hewlett-Packard e al fondo di private equity Apax Partners, la sua passione per lo stile europeo si confrontò da subito con la limitata cultura degli Inglesi in fatto di caffè.

Due anni prima dell’arrivo degli americani di Starbucks Corportion nel 1998, si convinse che era giunto il momento della svolta. Decise così di puntare su un caffè in puro stile italiano anche negli arredi scelti con l’intento di evocare angoli di Sicilia, Napoli e Milano. Nei suoi bar, sparsi in tutto il paese, si beve un eccellente caffè espresso - se paragonato alla media - e un ottimo cappuccino fatti rigorosamente con macchine italiane Faema. Molti baristi al banco sono italiani e il primo bar a Londra in South Kensigton era frequentato in prevalenza da connazionali desiderosi di bere un espresso al banco.

Una passione, quella di Gerry Ford per il caffè, nata da consumatore poi diventata un business pur conservando lo stile del bar di paese nel cuore della grande metropoli: nel 2001, Caffè Nero si quota alla Borsa di Londra per poi uscire dal London Stock Exchange nel 2007 quando viene valorizzato 225 milioni di sterline. Con i soldi raccolti dalla quotazione, Ford comincia la corsa alle aperture delle caffetterie all’estero: Turchia, Cipro, Emirati Arabi Uniti, Polonia.

Prima della pandemia occupava 6mila dipendenti, con 135 mila consumatori l’anno e aveva in programma di aprire altri 80 bar. Negli anni la catena è rimasta indipendente se paragonata al diretto concorrente Costa Coffee oggi controllato dalla Coca-Cola. Soltanto la pandemia ha fermato la sua crescita mettendo forse la parola fine all’ultima catena indipendente del Regno Unito.

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