Materie prime

Sull’offerta di petrolio più spazio all’Opec

di Marcello Minenna

(Reuters)

3' di lettura

La ripresa economica globale mette le ali al prezzo del petrolio: dopo l'annus horribilis 2020, da gennaio 2021 le quotazioni del greggio sono passate da 40 $ al barile a punte di 70 $ toccate ripetutamente negli ultimi giorni. Ma stavolta a rilevare non è solo il fattore domanda. A fine maggio 2021 il tanto atteso rimbalzo dei consumi non si era ancora concretizzato, con una richiesta da parte del mercato di circa 96 milioni di barili al giorno (b/g), il 6% in meno del valore registrato a dicembre 2019 appena prima dell'esplosione della crisi pandemica. È evidente che adesso è l'offerta ad essere fortemente contingentata. Nel 2020 l'offerta di petrolio ha seguito le fluttuazioni drastiche della domanda.

A fronte del crollo verticale del prezzo registrato a marzo per via del fallimento dei colloqui all'interno del cartello dei Paesi produttori (l'Opec) con una frattura grave tra Russia ed Arabia Saudita, ad aprile il cartello petrolifero ha dovuto trovare un accordo. La produzione è calata di quasi 10 milioni di b/g tra aprile e giugno 2020. Una cura drastica, che però sembra avere funzionato nella prospettiva di riacquisire il controllo del mercato petrolifero. Questa mossa ha infatti provocato una crescita verticale (barre gialle nel grafico) del surplus di capacità produttiva a livelli record assoluti di 9 milioni di barili/giorno, di cui circa 6 milioni in Arabia Saudita. La produzione è stata incrementata gradualmente di 2 milioni di barili/giorno solo nel corso dell'estate 2020. A dicembre l'Opec ha accettato un ulteriore incremento di produzione pari a 500.000 di barili, circa un milione di barili in meno rispetto alla proiezione prevista nel deal originale. Il surplus di capacità produttiva è rimasto a livelli elevatissimi nel primo quadrimestre 2021, nonostante l'outlook per l'economia globale sia apparso in miglioramento grazie ai progressi delle campagne vaccinali nei Paesi occidentali ed il prezzo del petrolio sui mercati sia cresciuto in maniera sostenuta. Soltanto lo scorso aprile il cartello è intervenuto attivamente sul mercato decidendo lo sblocco graduale di ulteriori 2 milioni di barili tra giugno e luglio 2021. A fine manovra l'Opec dovrebbe conservare 5 milioni di barili di capacità produttiva in eccesso. Se l'offerta dei Paesi Opec mostra qualche segno di dinamismo, lo stesso non si può dire per la produzione dello shale oil Usa, ferma al palo. Nel 2020 l'estrazione dell'industria Usa ha subìto un declino pesantissimo dal picco di 9,2 milioni di barili registrato a fine gennaio fino a 6,8 milioni in aprile. Successivamente c'è stato un modesto recupero fino a 7,9 milioni di barili, che però ha perso spinta a settembre. Le prospettive per il 2021 rimangono compromesse dai forti tagli agli investimenti e dalla necessità di consolidamento dei bilanci per le imprese sopravvissute al 2020. Il debito “facile” che ha sostenuto la crescita esponenziale della produzione nel corso dell'ultimo decennio è evaporato. Lo sviluppo del fenomeno dello shale oil ha permesso nell'ultimo decennio agli Usa di ridisegnare le rotte del commercio petrolifero, riducendo significativamente la dipendenza dal petrolio del Medio Oriente anche per le altre nazioni consumatrici occidentali. Tuttavia tra le conseguenze della pandemia dobbiamo annoverare una riaccresciuta influenza dell'Opec nel controllo dell'offerta globale di petrolio. Le implicazioni di questo riassetto sono tutte da osservare.

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