ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl lavoro dopo la pandemia

«Se si può andare al ristorante, si può tornare in ufficio»: perché le parole del Ceo di Morgan Stanley sono solo la punta dell'iceberg

Una presa di posizione netta, non la prima nel finance. Il ceo di Goldman Sachs ha definito il lavoro da remoto «un’aberrazione». E anche le big tech si muovono in ordine sparso

di Biagio Simonetta

James Gorman, ceo di Morgan Stanley (Bloomberg)

4' di lettura

Le parole più rumorose, probabilmente, le ha dette alla Cnn James Gorman, Ceo di Morgan Stanley: «Se potete andare in un ristorante, potete anche venire in ufficio. E noi vi vogliamo in ufficio».

Una presa di posizione netta, che fissa anche una dead line ben precisa: «Se entro il Labor Day (lunedì 6 settembre) le persone non saranno tornate in ufficio, sarò molto deluso e allora dovremo rivedere un po' di cose. E poi, se si vuole essere pagati a New York, si lavora a New York».

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Una discussione che riguarda tutti
La faccenda del ritorno in ufficio è però molto ampia, e trasversale a molti settori. Le limitazioni imposte dalla pandemia hanno di fatto innescato nuove abitudini. Il lavoro da remoto è diventato prassi. La rivoluzione chiamata smart working ha subito un'accelerazione inattesa, che si porta in grembo tutte le difficoltà di soluzioni dettate dalla fretta (e quindi poco organizzate).

Adesso, però, con le campagne vaccinali che fanno registrare record su record, con le prime luci in fondo al tunnel di questo viaggio maledetto, per molti Ceo è arrivato il momento di comunicare ai dipendenti che è tempo di tornare in ufficio.

Ed è qui che si sta concretizzando una spaccatura fra aziende che hanno deciso di lasciare la decisione in mano ai lavoratori e altre che non vogliono sentire ragioni, spingendo per il ritorno alle abitudini pre-pandemiche.

Big tech divisi
Il quadro è variegato. E non sempre c'entra il settore. Anche all'interno dell'industria tecnologica, ad esempio, ci sono scuole di pensiero diverse. Twitter, ad esempio, non vuole che i suoi dipendenti tornino in ufficio, almeno non a tempo pieno. E anche Slack è su questa linea di pensiero.

Entrambe le società stanno permettendo ai dipendenti di lavorare parzialmente o completamente da remoto. Facebook è stata fra le prime ad annunciare lo smart working a tempo indeterminato per i dipendenti che lo vorranno. Microsoft ha annunciato che la maggior parte dei suoi dipendenti sarà libera di scegliere se lavorare da remoto per il 50% del tempo, dopo la riapertura completa degli uffici.

Di parere opposto Jeff Bezos, di Amazon. Il colosso di Seattle crede che il modo migliore per la sua leadership tecnologica sia riportare tutti a una «cultura incentrata sull’ufficio», non appena sarà possibile farlo in sicurezza. Nel mezzo ci sono aziende come Google e Apple, che stanno mettendo in piedi piani di lavoro che prevedono due giorni di lavoro da casa a settimana.

Cosa ne pensa il mondo finanziario
Nel mondo finanziario, invece, sembra più netta la posizione del ritorno in ufficio. Ancora prima delle parole del Ceo di Morgan Stanley, erano arrivate quelle del Ceo di Goldman Sachs, David Solomondi, che a Bloomberg ha spiegato: «Il lavoro da remoto non è l'ideale per noi, e non è una nuova normalità. È un'aberrazione che correggeremo il più rapidamente possibile».

Stessa linea d'onda per l'Ad di Barclays, Jes Staley, che conta di riportare in ufficio i suoi 80mila dipendenti entro la fine del 2021. Contro lo smart working prolungato anche il Ceo di JPMorgan, Jamie Dimon (che vuole riportare tutti in ufficio entro il prossimo settembre) e quello di Cisco, Chuck Robbins.

Ora, il vero punto di tutta questa faccenda, sarà convincere le persone che tornare in ufficio a pieno regime (e quindi cinque giorni su cinque) sia necessario. Il lavoro da remoto ha creato nuovi equilibri nel famoso Work Life Balance. Allo stesso tempo, molti dirigenti temono che uno smart working a tempo indeterminato possa creare difficoltà in alcuni contesti, come la crescita dei giovani talenti che potrebbero apprendere di meno dai dipendenti con maggiore esperienza.

I campus rimasti deserti
Un fattore importante nelle decisioni delle big company sono i miliardi che hanno speso nella costruzione dei loro campus (o headquarter). Prima di marzo 2020, cioè prima che scoppiasse l'inferno del contagio, molte delle grandi aziende tecnologiche stavano investendo denaro in nuove ed elaborate sedi centrali.

Campus suburbani all-inclusive, con parchi e spazi pubblici. Proprio questi campus (Apple con l'Apple Park è uno degli esempi più lampanti, ndr) sono progettati in parte come uno strumento di reclutamento.

Apple ha speso 5 miliardi di dollari per il suo gioiello di Cupertino. Google sta lavorando a una struttura simile a Mountain View e un altro campus i a San Jose.

Facebook ha recentemente ampliato il suo campus con nuovi edifici. È chiaro che investimenti del genere sono messi a grande prova dalle nuove forme di lavoro da remoto. La discussione sul ritorno in ufficio, insomma, sembra appena agli albori.

E forse, oggi, è ancora troppo influenzata da un'emergenza sanitaria che non può essere considerata capitolo chiuso. La pandemia rallenta, ma non è finita.

E questo è un punto a favore importante di chi in ufficio preferirebbe non tornare. Quando il Coronavirus sarà solo un brutto ricordo (speriamo presto), le carte in tavola potrebbero cambiare radicalmente.


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