Intervista

«Deutsche Bank si trasforma in Italia, nuovi investimenti e più assunzioni»

di Paola Pica

«Deutsche Bank si trasforma in Italia, nuovi investimenti e più assunzioni»

Non ancora cinquantenne, milanese doc (fieramente) cresciuto sui campi da calcio di Baggio, periferia ovest, laurea in ingegneria al Politecnico, il capo di Deutsche Bank Italia Roberto Parazzini vede avvicinarsi «l’occasione storica di cambiare la mentalità della classe dirigente del Paese». Le condizioni, dice, sono state create dall’arrivo di Mario Draghi «con il suo stile di governo» e dai tanti progetti del Recovery da mettere a terra. «Per chi ne farà parte, sarà entusiasmante nella segreteria tecnica guidata da Chiara Goretti». Mentre anche nelle aziende private, afferma il banchiere impegnato in un piano di trasformazione importante per Db Italia della quale ha assunto guida nel giugno 2020 dopo 22 anni di carriera tutta interna «sono presenti manager che sembrano tenere un po’ meno alle poltrone e agli arazzi dietro la scrivania. Possiamo forse battezzarla generazione Draghi?» è l’idea di Parazzini.

Cosa conta, se non la poltrona, per la “generazione Draghi”?

«Conta “fare bene le cose”, conta l’ impatto positivo sulla comunità. Conta sapere che la poltrona è pro tempore. Conta l’equilibrio nella vita».

Il mondo del credito è forse quello più refrattario alla modernità...

«Il cambiamento è iniziato, in tutto il mondo. Un mutamento profondo che investe sia il modo di stare sul mercato, sia la vita interna alla banca. Siamo spinti a uscire dagli schemi tradizionali. A partire dai modelli di lavoro e dalla diversity, della quale mi sono occupato per anni. Sono stato il primo anni fa a promuovere dirigente una collega part-time, se ci pensa un piccola rivoluzione».

Qual è, dunque, la trasformazione di Db spa?

«In grande sintesi, sempre meno banca universale e sempre più banca specializzata. Ci ri-focalizziamo sulle attività nelle quali siamo forti qui, in Europa e nel mondo».

Ridurrete la vostra presenza in Italia?

«Saremo più snelli, ma più specializzati e continueremo a investire, come già stiamo facendo da mesi, nell’assunzione di professionisti del wealth management e delle relazioni con le imprese, oltre che di giovani neolaureati. L’Italia è strategica per Deutsche Bank che l’anno prossimo festeggerà i primi 45 anni di presenza nel Paese.È il secondo mercato dell’Eurozona dopo la Germania e il più rilevante per la divisione International Private Bank, la cui sigla è Ipb. Sarà questa ad evolvere verso un modello di banca specializzata».

Cosa accadrà alle agenzie?

«Ridurremo progressivamente l’attività tradizionale di sportello per costruire Ipb su tre pilastri: banca per gli imprenditori, premium bank più focalizzata sulla clientela cosiddetta affluent, credito al consumo. A fianco di Ipb resteranno le altre divisioni, presenti in tutto il mondo come Corporate, investment e Dws. Un dato importante: per Ipb, che tra l’altro a livello globale è guidata da un italiano, Claudio de Sanctis, l’Italia è il Paese che apporta più ricavi».

Di recente avete annunciato la vendita della rete dei consulenti finanziari.

«Abbiamo ceduto una rete di qualità come Deutsche Bank Financial Advisors a una realtà di eccellenza come Zurich Italia, che sono nostri partner e sapranno continuarne la storia di successo. Per i colleghi, che ringrazio ancora una volta per l’ottimo lavoro, si tratta di nuovo inizio. Per noi l’avvio del piano di trasformazione».

A qual e tipo di imprese vi rivolgete?

«Ci piacciono le imprese che vogliono fare il salto dimensionale, le aziende di famiglia che intendono managerializzarsi, il made in Italy che guarda ai mercati globali. Noi siamo i partner ideali, siamo ovunque e con una piattaforma di servizi integrati con pochi eguali, sia per la sfera aziendale che per quella privata. Naturalmente continueremo ad accompagnare i grandi gruppi italiani nel mondo».

Perché restare nel credito al consumo?

«E’ un settore nel quale siamo molto forti con il brand DB Easy, amplieremo l’offerta multiprodotto ».

Dws, la controllata della casa madre negli investimenti, è sotto indagine delle Autorità per il presunto «green washing».

«Non posso commentare sul caso particolare, Dws ha già risposto in maniera dettagliata. Posso però dire che se c’è un obiettivo storico in Deutsche Bank questo è proprio la sostenibilità che pratichiamo da almeno 20 anni. Chiediamo certificazioni Esg indipendenti anche a fornitori e collaboratori. E il gruppo ha anticipato di due anni, al 2023, il target di 200 miliardi in investimenti sostenibili».

Lei fa parte del comitato dei ceo Emea. Qual è l’istantanea dell’industria bancaria?

«L’Europa è a un bivio, oggi non abbiamo banche in grado di competere con i giganti asiatici e americani, alcuni dei quali in un quadrimestre producono utili pari all’intera capitalizzazione di una grande banca europea. Le conseguenze di queste sproporzioni sono sottovalutate».

Cosa bisogna fare?

«L’Unione bancaria prima di tutto, un mercato unico dei capitali e un’ulteriore omogeneizzazione dei regimi regolatori. Dovrebbe essere normale ad esempio per un cittadino italiano poter aprire un conto in una banca svedese, non lo è. E poi le aggregazioni, la creazione di campioni dell’Eurozona».

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