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UniCredit, se le regole di Vigilanza spingono il credito più in Germania che in Italia

Il ceo Orcel punta a rilanciare i prestiti ma deve fare i conti con le regole di Bce: le cessioni di Npl a prezzi “stracciati” hanno contagiato l'intero portafoglio crediti. Prestare in Italia richiede più capitale. Il precedente della deroga concessa al promesso sposo Mps

di Alessandro Graziani

(Imagoeconomica)

2' di lettura

Per rilanciare i ricavi del gruppo, il nuovo ceo di UniCredit Andrea Orcel punta (anche) sulla crescita del credito. Ma a beneficiare dell’espansione dei prestiti del colosso bancario paneuropeo paradossalmente potrebbero essere, più delle imprese italiane, le aziende tedesche e del centro est Europa.

Una prospettiva che non dipende da una scelta strategica di UniCredit ma dalle regole della Vigilanza bancaria. Il tema riguarda l'assorbimento di capitale relativo ai prestiti bancari. Un livello che varia anche in base alle serie storiche del tasso di default dei crediti pregressi (nel linguaggio della Vigilanza si parla di Lgd, ovvero Loss given default).

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Poichè nel corso degli ultimi anni, durante la gestione Mustier, UniCredit ha ceduto in Italia decine di miliardi di crediti deteriorati a prezzi “stracciati”, il tasso medio di rischiosità dell'intero portafoglio è più elevato rispetto a quello di altre banche. E per le regole di Vigilanza, quel livello di rischio si applica per anni anche ai nuovi prestiti.

Il paradosso

La conseguenza è che ancora per alcuni anni, se UniCredit aumentasse il volume dei prestiti in Italia (dove più elevato è stato lo stock di Npl ceduti), le regole di Vigilanza gli richiederanno più capitale rispetto ai competitor. Il che rischia di essere un problema più per l’Italia che per UniCredit.

Se è vero che il nuovo ceo Orcel intende rilanciare i ricavi e quindi la redditività del gruppo, è assai probabile che cercherà però di farlo senza ridurre i coefficienti patrimoniali che permettono a UniCredit di rimanere tra le banche più solide in Europa. Con quali possibili conseguenze dal lato dei crediti?

Bisogna considerare che i prestiti in Italia rappresentano il 40% del totale, mentre il restante 60% è suddiviso tra gli altri Paesi in cui il gruppo è presente: Germania, Austria e Centro Est Europa. Se per non appesantire i ratios patrimoniali la crescita in Italia sarà contenuta, UniCredit cercherà di compensarla aumentando di più i volumi di credito in Germania o in altre aree.

I «forni» bancari

Per gli azionisti che guardano alla redditività futura del gruppo, poco importa quale sia il mix di provenienza dei ricavi del gruppo. Molto più interessati al tema del credito sono invece tutti gli altri stakeholder italiani e in definitiva l'intero sistema economico che, per un paradosso delle regole di Vigilanza, rischia di non poter contare su una seconda grande banca (oltre al leader di mercato Intesa Sanpaolo) che possa spingere il motore a pieno regime nel finanziamento della ripresa dell'economia e nel supporto agli investimenti pluriennali previsti dal Pnrr. Per l'intero mondo delle imprese sarebbe preferibile poter contare su almeno due grandi “forni” bancari (meglio se fossero tre) come accade negli altri principali Paesi europei.

Il precedente di Mps

Il “paradosso” della Vigilanza è risolvibile? In teoria sì perché è già accaduto che Bce (era il 2016) concedesse una deroga in tal senso a una banca italiana, evitando che l'intero portafoglio crediti venisse “contagiato” dalla cessione di Npl a basso prezzo. Si tratta di Mps, che proprio in queste settimane lo Stato vorrebbe accasare in UniCredit con gran sollievo della Vigilanza Bce. Chissà se nel grande negoziato con Francoforte (e Bruxelles) entrerà anche il tema della rimozione della “penalita'” sul portafoglio crediti di UniCredit.

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