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Tim, alzato lo scontro: sulla governance nuove accuse di Vivendi

Dito puntato contro la governace di Telecom e il ruolo del presidente Rossi

di Andrea Biondi

 Nuovi scontri nel cda Telecom

3' di lettura

Sarebbe arrivata l’altroieri sera, recapitata al board di Telecom Italia dal primo socio Vivendi. E la lettera – una nuova lettera di cui ha avuto contezza Il Sole 24 Ore – spedita dall’azionista francese finisce inevitabilmente per gettare benzina sul fuoco in casa dell’ex monopolista, con gli azionisti Vivendi (al 23,75%) e Cdp (al 10%) alle prese con il complesso puzzle che dovrebbe portare alla creazione della cosiddetta “rete unica”, unendo i destini delle infrastrutture di Tim e Open Fiber. E di certo non alleggerisce il clima la lettera recapitata al Cda Tim sulla quale Vivendi oppone un no comment e che giunge dopo la precedente lettera di agosto in cui l’indice era puntato contro quello che viene considerato il conflitto di interessi del presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini, che è anche consigliere di Tim, considerando la posizione di Cdp come parte correlata nell’offerta sulla rete Tim. Al centro del cahier de doleances ora ci sarebbero invece tutte questioni legate alla governance, bollata come non adeguata e alla richiesta di un atteggiamento più collaborativo, lamentando la mancanza di risposte a indicazioni dei soci. La lettera si concluderebbe poi con l’invito ai manager a continuare a lavorare sul piano industriale indipendentemente da quanto succederà.

Tutte cose che portano vari analisti e osservatori a pensare che nel mirino di Vivendi sia finito sempre di più il presidente di Tim Salvatore Rossi, da tempo indicato secondo indiscrezioni come obiettivo del socio francese che ne vorrebbe la sostituzione. Di certo quello della lettera è un passaggio che rende sempre più accidentato il percorso da qui al 29 settembre, data della prossima riunione ordinaria del board Tim. Questo proprio in un periodo in cui è attesa la proposta di Cdp tramite Open Fiber. Lo scoglio delle differenti valutazioni dell’asset fra Cdp e Vivendi è ormai di dominio pubblico. Nel primo caso gli analisti considerano un range sui 17-20 miliardi. Per i francesi l’asticella va posta almeno a 31. Un valore questo che, a quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, è frutto del lavoro di Rothschild, advisor di Vivendi e che sarebbe stato illustrato al Cda Tim. Il valore rifletterebbe tra l’altro, stando ai calcoli di Rothschild, il corrispettivo che Open Fiber dovrebbe pagare per creare un operatore unico della rete, non verticalmente integrato, nel caso in cui l’operazione di fusione non avvenisse. Non è peraltro una valutazione della rete stand alone, ma proprio nell’ottica di una fusione. L’approccio non sarebbe stato quindi di utilizzare moltiplicatori che normalmente sono usati, considerando che nel caso di Open Fiber la quota acquisita da Macquarie è stata valutata 20 volte l’Ebitda. Quello che invece nel caso specifico è stato utilizzato è il “dividend discount model”. Si tratta di una metodologia che parte dalla valutazione dei flussi finanziari del business plan che il ceo Tim Pietro Labriola ha esposto al mercato. Per la rete il business plan prevedeva un Ebitda a 2,7 miliardi al 2030, con investimenti per 800 milioni l’anno. Questi flussi di cassa che il management conta di ottenere dalla rete in ottica pluriennale sono poi tarati su un rendimento target che un investitore potrebbe applicare per investire in progetti infrastrutturali. Quel tasso è fra il 7 e l’8%. L’acquisizione di Autostrade da Cdp, Macquarie e Blackstone è stata fatta a tassi simili. Ci sono poi da considerare le sinergie, per 4,2 miliardi di euro e il riconoscimento che andrebbe dato al valore dell’asset per una Tim che, caso unico fra gli incumbent europei , perderebbe la sua rete fissa. E per questo è richiesto un “risarcimento” Tutti elementi che portano ai 31 miliardi di euro. E che Vivendi intende far valere in sede negoziale.

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